Archivio di Stato di Napoli
Travocial,
2015-05-19 08:02:42
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L'Archivio di Stato di Napoli nasce come "Archivio Generale del Regno" con il r.d. 22 dicembre 1808, allo scopo di riunire in un medesimo locale gli antichi archivi delle istituzioni esistenti fino all'arrivo di Giuseppe Bonaparte a Napoli nel 1806. Furono così concentrati gli archivi della Regia Camera della Sommaria, cui appartenevano i volumi dei catasti "onciari" relativi a tutti i comuni del regno, della Cancelleria, delle Segreterie di Stato dell'epoca vicereale, dei supremi organi consultivi dello Stato (Consiglio Collaterale, Real Camera di S. Chiara), del Cappellano Maggiore e dei massimi organi giudiziari dello Stato (Sacro Regio Consiglio, Gran Corte della Vicaria) e le carte di altri numerosi organi statali. Dopo la restaurazione borbonica del 1815, cambiò la denominazione in quella di "Grande Archivio del Regno" e si stabilì il principio che non soltanto le carte delle cessate amministrazioni, ma anche quelle delle amministrazioni vigenti dovessero esservi versate periodicamente. A partire dal 1860 l'archivio conobbe un notevole incremento del proprio patrimonio documentario, grazie all'acquisizione degli atti dei ministeri borbonici e di altri organismi centrali, come la Consulta di Stato e la Gran Corte dei Conti. Primo direttore dopo l'Unità fu l'economista e giornalista Francesco Trinchera, il quale curò, avvalendosi di un precedente pregevole lavoro dell'archivista Michele Baffi, l'edizione della Relazione degli archivi napoletani (1872), prima e per molti aspetti ancora preziosa guida sistematica alle fonti dell'Archivio di Stato di Napoli. Gli succedettero nell'incarico autorevoli figure di studiosi come Camillo Minieri Riccio (1874-1882) e soprattutto Bartolomeo Capasso(1882-1900) e Eugenio Casanova (1907-1915), autore quest'ultimo di un celebre manuale di archivistica e di un'ampia relazione sull'Archivio di Stato di Napoli nel decennio 1899-1909, pubblicata nel 1910. La direzione di Riccardo Filangieri di Candida (1934-1956), durante la quale fu avviata l'acquisizione degli archivi privati, coincise purtroppo con il periodo più triste per la storia del nostro paese e dei suoi archivi; delle vicende belliche l'Archivio di Stato di Napoli risentì più pesantemente di ogni altro istituto archivistico, in quanto una notevolissima mole di scritture antiche e pregevoli, portate in un deposito presso Nola per preservarle dai bombardamenti, vi furono distrutte da un reparto tedesco in ritirata nel settembre del 1943. Nel corso del Novecento l'Archivio, avendo perduto il suo carattere di archivio della capitale, ha ricevuto versamenti da organismi a carattere provinciale o locale, quali la Prefettura e la Questura e l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette con gli atti relativi al cosiddetto Catasto provvisorio di Napoli, che, stabilito da Murat nel 1809, è rimasto in vigore fino al 1914.
Il primo piano del Monastero dei Santi Severino e Sossio, sede dell’Archivio di Stato di Napoli, costituisce la zona musealizzata dell'Archivio di Stato di Napoli. Cuore della vita dell'Istituto - vi sono infatti collocate la Sala di studio principale, la Sala inventari e la Sala accoglienza - era anche per i monaci il centro della comunità. I suoi quattro, splendidi chiostri ne scandivano i ritmi; la Sala del capitolo, affrescata da Belisario Corenzio nel primo ‘600 con un complesso ciclo cristologico, ne era il luogo di dibattito e confronto; il grande Refettorio, suggestivo e imponente, era il cuore della quotidianità della comunità monastica. Qui convivono varie epoche e varie funzioni: il monastero, l’archivio ottocentesco, il moderno istituto di cultura. La visita all’Archivio di Stato di Napoli si limita, oggi, agli ambienti del primo piano. La visita virtuale, invece, apre le porte dell’”Archivio segreto”: zone normalmente non accessibili, perché occupate dagli uffici o dai depositi di carte che, nonostante la destinazione d’uso, nascondono bellezze – artistiche e archivistiche – di non secondaria importanza. Il terzo piano offre alla vista cimeli di età romana, strumenti di precisione ottocenteschi, e il “pezzo” più antico dell’Archivio, la Carta lapidaria, in quel caratteristico convivere di documenti e monumenti che qualifica in modo peculiare il complesso monastico dei Santi Severino e Sossio. Al quarto piano dell'Istituto, in particolare, furono dislocate monumentali sale per la conservazione dei documenti: alcune di queste furono realizzate nella prima metà dell'Ottocento. Le sale, non incluse degli abituali itinerari di visita all' Istituto, sono presentate sia per l'importanza del patrimonio documentario custodito, sia per le interessanti e varie soluzioni di allestimento di scaffalature d'archivio.