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Teatro Romolo Valli

Travocial,  
2016-03-01 09:46:07
La magnificenza del teatro Municipale non dovrebbe apparire come inadeguata alla città. Il teatro Municipale non è da considerare infatti un edificio a sè stante ed anomalo ma anzi vero e proprio specchio della più significativa e celebre tradizione teatrale della città. Si perdono nel tempo le cronache con notizie che dimostrano la passione non comune - rispetto al resto della regione - dei cittadini reggiani per le rappresentazioni teatrali. Non sembra nascere per caso allora nemmeno la saggistica che fin dall'Ottocento ha voluto raccontare la storia dei teatri a Reggio con studi di alta qualità. In essi si è notato che le testimonianze di sale attrezzate, dalla seconda metà del Seicento a tutto il Settecento, sono numerosissime. Si può dire che ogni palazzo nobile avesse a Reggio il proprio spazio adibito alle rappresentazioni teatrali. Tra i teatri privati di modeste dimensioni il più documentato è un teatrino a palchetti che venne fatto costruire in onore della duchessa di Modena "amantissima delle recite teatrali," in meno di un mese, nell'anno 1722 in un'ampia sala all'interno del Palazzo ducale della Cittadella e della quale cui si ha notizia fin dal 1672 come luogo di rappresentazioni carnevalesche. Per quanto riguarda la storia dei teatri pubblici di Reggio, si potrebbe dire che più che di quattro distinti edifici, sembra la storia di un unico ultracentenario teatro. Infatti pur mutando di aspetto o di sito, si riscontra una perfetta sequenza cronologica tra la nascita e la soppressione di ognuno di essi. Il primo luogo adibito a teatro pubblico in cui si ha notizia si tenessero tutti i principali spettacoli reggiani, era una grande sala che veniva detta "dei Pretori" perché era servita per le adunanze del Consiglio pubblico. Era situata nel vecchio Palazzo Comunale, ora Palazzo del Monte in piazza Battisti. Ribattezzata Sala delle Commedie o Sala del Ballone, veniva adattata di volta in volta agli spettacoli fino a che "non si abbellì tanto da far dire al Tiraboschi nel 1567 che un "teatro fu innalzato per la venuta in Reggio di Barbara d'Austria, duchessa di Ferrara, figliola dell'Imperatore Ferdinando I e sposa di Alfonso II d'Este" (Crocioni 1907, p. 5). La duchessa l'anno seguente entrò in Reggio ed in sua presenza, il teatro fu inaugurato con l'Alidoro, tragedia inedita di Gabriele Bombace. Solo nel 1623 si iniziarono i lavori per dotare di palchi il teatro, in seguito venne montato un palcoscenico e aperta una finestra per dare luce alla scena. Divenuta troppo angusta, alcuni signori del Consiglio chiesero nel 1635 di "far sì che la Sala diventasse un luogo molto ampio e capace per comedie, tornei et altri simili spettacoli" (cit., p.13), ed inoltre di costruire palchetti riservati "che solo pochi dei Signori di questo Consiglio vi hanno palchetti" (cit., p.13). L'anno successivo il teatro era già pronto e nei primi giorni di gennaio del 1637 la pianta dei palchetti fu depositata nelle mani di un notaio per l'assegnazione. Sembra che la sala misurasse in lunghezza 40 braccia, in larghezza 35 e che il palcoscenico fosse lungo 32 braccia. I palchi erano 101 su quattro ordini, disposti a "mezzaluna" (cit., p.14). In platea stavano 64 panche laterali, 29 sedie "[...] da sei persone ciascuna" (cit., p.16). La fama del teatro era grande: "lo stesso duca interveniva spesso, movendosi apposta da Modena" (cit., p. 23) tanto che fu fatto erigere un palco ducale nel 1672 circa. Una eccezionale nevicata danneggiò gravemente nel 1695 le travi del tetto che rompendosi distrusse i palchi. Si decise allora di consolidare le strutture lignee e di rinnovare le decorazioni. Vennero chiamati a decorare le scene, il soffitto della platea e i palchi Ferdinando e Francesco Galli Bibiena "di mai più veduto ed ammirato composto" (cit., p. 31). Il 3 maggio dello stesso anno venne inaugurato il teatro rinnovato col "dramma poetico Almansone in Alimena" di Carlo Pollaroli. Il ricavato degli ingressi andò a saldare le spese del poderoso restauro. La sala ora era lunga 60 braccia e larga 26 con 130 posti in platea. Il teatro reggiano "salì in tanta reputazione per cui fino ai tempi nostri è stato riguardato uno dei più cospicui e celebri teatri italiani" (cit., p. 33).Cinque anni dopo, la notte del 6 maggio 1740 un incendio, forse doloso, distrusse in sole tre ore l'intero fabbricato. Per il timore che la mancanza di un teatro dell'opera potesse arrecare danno al normale svolgimento della grande fiera di maggio o all'immagine stessa della città di Reggio, il duca Francesco III insistette con premura presso il Consiglio perché fosse eretto "con la dovuta prontezza" (cit., p. 39) il nuovo teatro. Fu deciso di utilizzare l'ex area dell'antico Officio della Macina e parte delle stalle ducali presso la Cittadella davanti alla chiesa di Sant'Egidio. Si chiese all'architetto Antonio Cugini "huomo perito e pratico di teatri" (cit., p. 40), di disegnare il progetto. In soli sette mesi di lavori, nel dicembre dello stesso 1740, fu terminato anche l'interno del nuovo teatro grazie all'alacre lavoro di operati "tutti reggiani" (cit., p. 41). Il soffitto della platea e l'arredo scenografico furono dipinti da Giovanni Paglia "scenografo reggiano reputatissimo" (cit., p. 41). Giuseppe Racchetti di Parma dipinse venti figure nel soffitto e il veneziano Carlo Vandi decorò il proscenio e il comodino. Mentre l'aspetto esterno risultava piuttosto misero perché benché porticato, pareva "un gruppo di case addossate le une alle altre" (cit., p. 44) l'interno era di "Vago e maestoso disegno" (cit., p. 44). La platea misurava in lunghezza 40 braccia e in larghezza circa 20 con 292 posti a sedere e 130 palchi sistemati in cinque ordini con un loggione, per una capienza totale di 1172 posti. Per una migliore visibilità si era provveduto a costruire i palchetti aggettanti l'uno rispetto all'altro e digradanti lentamente verso la scena come prima di allora era stato fatto solamente da Andrea Seghizzi nel teatro della Sala a Bologna nel 1641 e da Francesco Bibiena nel Filarmonico di Verona nel 1731. Nel primo ordine, al centro vi era un palco ducale "magnifico, e sotto la panca degli anziani come nel teatro vecchio". Il palcoscenico era in leggera pendenza con 24 tagli e 14 casse a muro per il movimento delle scene, 48 carri per il movimento delle decorazioni e 48 camere e camerini di servizio. Il ridotto era molto vasto per ospitare giochi pubblici e feste da ballo, e l'atrio era di forma esagonale. Era stato costruito anche un locale detto "camerone" per il corpo di guardia. Il teatro era "altamente lodato da chiunque l'esamina" (cit., p.45), anche perché era dotato di un'ottima acustica "pregio di essere sommamente opportuno all'armonia (cit., p. 45). Tra la fine dell'ottavo decennio e l'inizio degli anni novanta, era diventato molto difficile mantenere l'ordine in teatro che era diventato la sede più opportuna per convegni e dimostrazioni dei patrioti (cit., p. 58). Nel 1814 furono rifatte le decorazioni nel soffitto della platea da Prospero Minghetti e dipinto un nuovo sipario per il palcoscenico. Anche nella distribuzione dei palchi rinnovati "fu introdotta qualche innovazione; gli israeliti furono ammessi all'occupazione del 3° ordine dei palchi riservando alla nobiltà solo i primi due ordini" (cit., p. 66). Una poderosa ristrutturazione fu avviata nel 1838 quando furono aggiunti otto palchi e ridipinto da Vincenzo Carnevali il soffitto della platea. L'anno successivo su disegno dell'architetto Pietro Marchelli fu innalzato il fabbricato, costruito un atrio colonnato, un porticato per le carrozze e tante altre migliorie che furono terminate entro l'autunno del 1839. La notte tra il 21 e il 22 Aprile del 1851, "dopo la prova all'opera, la vecchia madre del custode Cavalli [...] avvertì un cupo rombo nel teatro" (cit., p. 72). Truppe organizzate vennero in soccorso ma il fuoco aveva irrimediabilmente distrutto la cavea. Con opportuni tagli furono salvati l'atrio e gli ambienti sottostanti. Un modello perfetto del teatro di Cittadella è stato da poco costruito, e consente di vederne la struttura e lo spaccato interno. I musicisti dell'orchestra teatrale, rimasti improvvisamente inoperosi decisero di allestire i locali rimasti illesi dal fuoco. Nel 1852 su progetto dell'ingegnere Tegani (lo stesso che coadiuverà il Costa nella costruzione del Municipale), vennero eretti in poco più di venti giorni quarantuno palchi. Il teatro provvisorio che prese il nome di teatro comunale filodrammatico gareggiava "per magnificenza di spettacoli per successi di artisti e di maestri, col vecchio teatro e col nuovo" (cit., p. 78) tanto da essere segnalato con attenzione ai viaggiatori dal celebre cavaliere Ludovic de Lalande. Ma nel biennio successivo all'inaugurazione del Municipale, avvenuta nel 1857, essendo rappresentate solo commedie di dilettanti, spettacoli di marionette e burattini e "rendendosi necessarie costose riparazioni, il Municipio reputò conveniente alienarlo insieme all'area lasciata libera dall'incendio del 1850" (cit, p. 78). In un primo tempo, per questioni finanziarie, il Consiglio credette opportuno realizzare nella stessa area la costruzione del nuovo teatro. Su richiesta dello stesso Cesare Costa, al quale il Consiglio affidò nel 1851 l'incarico di presentare il nuovo progetto, i consiglieri risolsero che l'area occupata anticamente dalla piazza d'armi della Cittadella, fosse più adatta al nuovo edificio che i reggiani volevano come teatro-monumento "più magnifico del primo e più rispondente alle accresciute esigenze della scena" (cit., p. 78). "La piccola cittadina, storicamente oppressa da un regime che la relegava in secondo piano, a tutto favore della vicina capitale Modena, trova il suo riscatto proprio nell'edificazione di un grandioso teatro. Esso viene costruito con tutti gli elementi del decoro e della magniloquenza proprio sulle fondamenta della appena demolita Cittadella, simbolo della potenza ducale" (Teatri storici...1982, p.48). Era stata presentata dalla commissione che soprintendeva i lavori una minuziosa "relazione in cui si prendevano in esame i più recenti risultati raggiunti in Italia, elencandone pregi e difetti" (cit., p. 84) sia per quanto riguardava le decorazioni, le macchine scenotecniche, l'architettura, l'arredo, l'acustica, ecc... Sette anni dopo il disastroso incidente, il 21 Aprile 1857 fu inaugurato il nuovo teatro con l'opera musicata per l'occasione dal reggiano Achille Peri, Vittore Pisani e con un ballo "spettacoloso" Carlo il Guastatore del celebre coreografo Giuseppe Rota. L'acustica fu giudicata eccellente dalle cronache del tempo. Nulla è cambiato dell'originaria costruzione se non la destinazione d'uso di alcuni piccoli ambienti. Dodici colonne doriche su tre gradoni di granito e due arcate laterali per le carrozze, sorreggono il maestoso porticato sul quale si erge il piano nobile. In esso, tredici grandi finestre con timpano e bassorilievo sono divise da lesene ioniche terminanti con quattordici statue che si stagliano alte sopra il possente cornicione a decorare la facciata. Il porticato continua in entrambi i lati, seguendo i motivi della facciata decorata con statue. Per le ventotto statue esterne, l'insigne Carlo Ridolfi invitò il filologo Bernardino Catelani a formulare un programma iconografico in cui richiamò i due principi dell'arte teatrale in voga in quegli anni: dell'Istruzione e del Diletto. Le due statue rappresentanti l'Istruzione e il Diletto, stanno al centro della facciata mentre ai loro rispettivi lati stanno le virtù necessarie per istruirsi: dal centro Vero, Virtù, Dramma, Gloria, Vizio, Tragedia, e quelle per divertirsi: dal centro Favola, Scherzo, Danza, Estro, Commedia, Suono. Ai lati le statue della Pittura, Pudore, Moderazione sono contrapposte al Rimorso, Curiosità, Silenzio. Nelle terrazze sono collocate altre statue di personaggi famosi a ricordare con esempi concreti l'applicazione dei due principi dell'Istruzione e del Diletto. Cinque porte di eguale grandezza si aprono sotto il portico. La centrale introduce al Vestibolo: "come nelle statue esterne [...] così nelle decorazioni del peristilio e dell'interno, fu guida un concetto informatore: [...] si rappresentarono nel peristilio le glorie del teatro greco, nel vestibolo quelle del Latino, nell'atrio, nello scalone e nella platea quelle molteplici e varie del teatro italiano." (Crocioni 1907, p. 92). Si passa all'atrio con pianta ottagonale decorato da Girolamo Magnani e Giuseppe Ugolini e le cui aperture ad arco sono intervallate da semi-colonne corinzie. Di qui si entra alle sale del ridotto (tra le quali si ricordano la sala ottagonale e la sala degli Specchi) e alla sala per lo spettacolo con pianta a ferro di cavallo con quattro ordini di palchi e un loggione al quale si accedeva da una scala separata. Il maestoso palco ducale occupa il posto di quattro palchetti centrali del secondo e terzo ordine. Ogni palchetto è dotato di retropalco di servizio. Il grande astrolampo originale in rame ricoperto in stucco (di cui si conservano ancora i macchinari per l'innalzamento nella stanza superiore) pende dal soffitto decorato da Domenico Pellizzi raffigurante le allegorie del Melodramma, della Tragedia, della Coreografia e della Commedia. Il sipario fu dipinto da Alfonso Chierici per il quale si ispirò probabilmente ad un sipario anteriore (cit., p. 94). In esso si mostra il Genio dell'Arte che scende dall'Olimpo seguito dai grandi italiani "dei tempi moderni, romani e antichi" raffigurato nell'atto di mostrarli alle "Belle Arti" affinché esse si risveglino al glorioso ricordo. Il sipario "di comodo" fu dipinto da Giovanni Fontanesi con un paesaggio di rovine che avrebbe voluto ricordare la presente noncuranza verso la passata grandezza. Il Municipale è uno dei teatri italiani più ricchi di macchine e servizi per l'allestimento delle scene ancora oggi conservatisi pressoché intatti: argani, tamburi, due ordini di paglioli, scale a chiocciola, strade pensili, pozzi secchi per i contrappesi, tubi metallici per la comunicazione verbale; macchine per gli effetti speciali: del tuono, della pioggia, della saetta, del vento e del volo; bilance per l'olio e il gas, ecc... Di incredibile grandezza è lo spazio del retropalco con una apertura del boccascena di quasi 14 metri, con una larghezza di palcoscenico di 31 e una profondità 26 metri. Sul palcoscenico è istallato un organo costruito nel 1815 da Luigi Montesani di Mantova e recentemente restaurato. Le scene venivano dipinte nella sala di scenografia posta sopra la platea. Le scene venivano issate o scese per essere ritoccate e riposte attraverso delle fessure praticate nel pavimento ligneo. Dal 1957 la gestione del teatro Municipale è completamente comunale. Prima di quella data infatti, pur rimanendo di proprietà comunale, il teatro veniva dato in concessione a compagnie e impresari teatrali. Fu apprestato un restauro che ridiede splendore all'edificio. Si vollero ripristinare gli spazi che avevano subito una diversa destinazione d'uso, si ripulirono le parti pittoriche, gli stucchi, gli ori, gli arredi e la tappezzeria. Intorno agli anni settanta, in un palco di primo ordine è stata collocata una cabina di regia, il teatro è stato fornito di un impianto televisivo a circuito chiuso, di un impianto luci in sintonia con le più attuali esigenze sceniche, impianti tecnici per i cambiamenti meccanici delle scene. L'istituzione di laboratori interni permette che un artigianato locale specializzato possa proseguire la tradizione ottocentesca. Nel Ridotto si svolgono convegni e mostre. La sala degli scenografi è stata trasformata in sala per le prove dei balletti. L'Archivio è stato trasformato in un moderno Ufficio di Documentazione. Attualmente il teatro Municipale organizza oltre che stagioni d'opera lirica, stagioni di danza, prosa e concerti di musica. (Caterina Spada) "Nel 1991 ai due sipari storici, ottocenteschi, dipinti rispettivamente da Alfonso Chierici e Giovanni Fontanesi per il Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia se ne affianca un terzo la cui realizzazione è affidata ad un artista di grande talento quale Omar Galliani, si tratta di un’operazione che apparentemente è una sfida, può sembrare un azzardo, ma è anche emozione nel momento in cui, per la creazione della grande tela, si ripristina temporaneamente l’antica ampia sala dei pittori posta nel sottotetto del teatro, restituendola alla sua originaria funzione ormai da tempo sostituita dalle prove per i balletti. Al fotografo Luigi Ghirri il compito di documentare la realizzazione dell’opera. È un intervento forte che da un lato ripropone un soggetto ormai desueto: il sipario dipinto e dall’altro introduce un’opera d’arte contemporanea di qualità in un teatro storico, analogamente a quanto voluto a suo tempo da André Malraux per i soffitti parigini dell’Opéra e dell’Odéon dipinti rispettivamente da Marc Chagall e André Masson. Del resto i teatri sono organismi dinamici, per loro natura produttori di accadimenti da cui traggono linfa vitale. Per questo sipario, destinato ad essere incorniciato dagli ori, stucchi e velluti che armoniosamente decorano la sala teatrale del Valli, Galliani concepisce una astrale, vorticosa variazione sulle arti, denominata Siderea. E il rosso delimita e serra, anche concettualmente, la smisurata immagine e sapientemente la fa dialogare con la cavea, i suoi arredi, le sue tappezzerie e nel contempo [...]. Dal rosso arretra il campo principale, un blu cosmico, profondo, intenso, un cielo antico intriso di umori mitologici nel cui centro si allarga e prende forma un elemento che, sottoposto alla legge del divenire, è destinato ad emergere, totem apotropaico, una sorta di Ariel [...]. Come altre, nello schema e nei modi del darsi dell’opera di Galliani di quel periodo. (da: Lidia Bortolotti, Luoghi d'Arte Contemporanea... )





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