Teatro comunale Alice Zeppilli
Travocial,
2016-03-01 08:11:58
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Fin dal 1671 esisteva a Pieve di Cento un antico teatro posto in una casa presso il monastero delle Clarisse in via San Carlo, detta poi via del Teatro. Era sorto per iniziativa di alcuni privati cittadini appartenenti a cospicue famiglie pievesi: Francesco Guidicini, Giambattista Gallini, Benedetto Melloni, Giovan Battista Bongiochi, Girolamo Barbieri e Orazio Fornasari.
Questa sala teatrale fu demolita all'inizio dell'Ottocento, di essa si conserva un solo documento iconografico nel primo volume della Raccolta Melloni-Crescimbeni, una pianta schizzata in modo assai e schematico dal capomastro Giacomo Cantelli nel 1749 di cui Deanna Lenzi nel suo articolo Appunti per il teatro alla pieve, fa un'attenta analisi. Costruita in un ampio vano quadrangolare simmetricamente suddiviso tra spazio scenico e spazio per il pubblico di uguale profondità e di una larghezza fuori dal comune, presentava una cavea con tre ordini di palchi in legno, undici al primo e al secondo ordine, tre soli al terzo per lasciare spazio a due ampie palchesse per la gente comune. "Non essendo noto il nome dell'architetto che lo realizzò, non è possibile dire se questo impianto alla Pieve sia stato suggerito dalle particolari misure del vano, ottenuto abbattendo i muri divisori, oppure dalla volontà di seguire qualche illustre modello, ferrarese per esempio, oppure perché condizionato dal tracciato di una preesistente cavea a gradoni, del tipo per l'appunto di quella realizzata a Ferrara da Giovan Battista Aleotti per il teatro degli Intrepidi sin dal 1605" (Lenzi, p. 425).
Dai verbali consigliari della Comunità pievese sappiamo che il 10 gennaio 1674 furono concesse alla gioventù che operava nel teatro la somma di 25 scudi (da pagarsi al cassiere dell'Accademia) affinché il teatro fosse dotato di uno scenario nuovo. Quattro anni dopo nel 1678 la Comunità sostenne nuovamente le spese per uno scenario, i fondi furono stornati dalla corsa alla quintana.
Dal 1696 il Consiglio si impegna a dare annualmente un contributo per le commedie e nel contempo obbliga i proprietari a non negare mai il teatro alla gioventù, nello stesso anno sono destinate al teatro le multe di malaffitto.
L'Accademia pievese degli Illustrati (inizialmente detta semplicemente della Pieve), a quanto risulta si occupava anche degli spettacoli teatrali. Il 28 settembre 1740 infatti la Comunità concesse loro otto scudi annui al fine di poter fare le commedie durante il carnevale, periodo in cui si concentravano la maggior parte degli spettacoli. Questo privilegio fu mantenuto quasi ininterrottamente, anche se a fasi alterne, per tutto il secolo e oltre. Pertanto organizzazione ed allestimento degli spettacoli risulta sempre in mano alla gioventù pievese, diretta dal rettore o vicerettore degli Scolopi od ancora da qualche accademico tra cui Felice Crescimbeni, pur tra innumerevoli difficoltà. Talvolta allestirono opere di un certo rilievo, riuscendo a piacere al pubblico (si veda in proposito il carteggio Crescimbeni Melloni, conservato presso l'archivio storico comunale). Nel febbraio 1749 si recitò la Merope e il Bassà in fuga; nel 1752 e 1753 l'Alzira, con gli intermezzi in musica a due voci, e il Cicisbeo; mentre nel 1754 si diedero due commedie una di Goldoni e l'altra del Fagioli.
Tra il 1754 e il 1757 il teatro è oggetto di opere di abbellimento, mentre nel 1762 si chiede di utilizzare la dote di otto scudi per riformare gli scenari.
Per il carnevale del 1763 la gioventù pievese progetta di mettere in scena l'Antigone in Tebe e una commedia di Goldoni. Nel 1770 il teatro minaccia di andare in rovina, ma da quanto ricavato dai documenti risulta che vi si continuano a fare rappresentazioni fino al 1776. Nel 1789 è ormai in grave stato di degrado e non è più utilizzato, anche se sopravvive ancora per qualche tempo, è infatti rilevato nel corso del censimento condotto nel 1798 per conto della Repubblica Cisalpina in previsione di una riorganizzazione globale dei servizi teatrali a livello nazionale, e risulta essere l'unico esistente a Pieve, proprietari: Angeli, Guidicini e Bongiochi.
Fa notare Deanna Lenzi, che per tutto il periodo in cui questo teatro fu attivo, poco più di un secolo: "non restano tracce di affitto del locale a comici dell'arte o a compagnie melodrammatiche di giro, tanto attive, e felicemente nella nostra regione. Nel più puro spirito della cultura dotta ed elitaria delle accademie non pare neppure sia mai decollata una politica di gestione impresariale" (Lenzi, 427), in quanto il ricavato della vendita dei biglietti servì soltanto per il rientro delle spese sostenute per gli allestimenti o per apportare migliorie alla sala teatrale o per acquisire nuovi scenari.
Nel 1785 la gioventù chiede per la prima volta la sala del Palazzo Apostolico (attuale residenza municipale), onde farvi un'accademia di poesie bernesche intermezzate da canti e suoni. La richiesta si ripete l'anno successivo, ed in seguito con una certa regolarità. Tutto fa quindi supporre che da questo momento sia iniziato l'uso, per le rappresentazioni, della Sala del Palazzo Pubblico. Nel 1824 si afferma, nell'estratto di una seduta della Magistratura, che la sala fu "ridotta un giorno ad uso di teatro per fornire unicamente li Dilettanti di Commedie di un mezzo atto ad esercitare li loro talenti in si fatta specie di Genio sommamente lodevole", ed era stata dotata l'anno seguente: si suppone nel 1786, di un giro di palchetti (A.C. Pieve di Cento, Lettere, t. Spettacoli - Teatri, 1924).
In seguito fu aggiunto un altro ordine di palchi in quanto nel 1825 Matteo Melloni, capo impresario dei dilettanti pievesi, chiede che siano fatti alcuni lavori della massima importanza nel Teatro Comunale, tra cui una scala per ascendere al secondo ordine dei palchi e riparazioni ai parapetti dei medesimi; occorre inoltre chiudere le finestre del palcoscenico, tranne una per darvi luce. Permane comunque il carattere di provvisorietà della struttura, infatti all'accademico filarmonico bolognese Francesco Galliani che nell'agosto 1829 ne richiede l'utilizzo per il successivo 6 settembre viene risposto che "la sala comunale che serve provvisoriamente da teatro, siccome qui non avvi altro locale adatto, sarà a disposizione..." (A.C. Pieve di Cento, Lettere, t. Spettacoli e Divertimenti, rub. 5 Teatri, 1829). Questo aspetto non impedisce di utilizzarlo in modo regolare, sia dai dilettanti pievesi che dalle compagnie di giro, fino al 1852. In maggio la compagnia Verardini vi rappresenta il melodramma serio Ernani, con musiche di Giuseppe Verdi.
Nel frattempo la Comunità di Pieve prende in seria considerazione l'opportunità di edificare un nuovo teatro inteso come edificio autonomo dotato, oltre che di un'adeguata sala teatrale, dei necessari locali di ritrovo e servizio. A tale scopo furono, fin dal 1847, allacciati rapporti con l'ingegnere centese Antonio Giordani (che successivamente progetterà anche i teatri di Cento, di Massa, di Crevalcore, e in Venezuela quello di Maracaibo). L'elevato preventivo di spesa indusse gli amministratori ad optare per una soluzione meno onerosa: la risistemazione dell'esistente.
Nel 1853 è proposto in Consiglio dal priore Angeli, il restauro del teatro reso possibile grazie ai finanziamenti di aspiranti alla proprietà dei palchetti. Il progetto redatto dal Giordani, ottiene l'approvazione del delegato pontificio, il quale esaminatolo lo restituisce al priore Angeli con la raccomandazione di far eseguire l'opera in via economica e non di appalto, autorizzando la spesa di 1026 lire. Il teatro è inaugurato nell'agosto del 1856 con Il Trovatore e Viscardello (Rigoletto).
Le rappresentazioni si susseguirono regolarmente fino al 1911, poi il teatro andò lentamente in disuso, le leggi di pubblica sicurezza ne determinarono la chiusura nel 1929.
Durante la seconda guerra mondiale subì danni e nel 1954 furono effettuati alcuni restauri a cura dell'Ufficio Tecnico, ripristinati i pavimenti, rinnovati gli arredi dei palchi, ripresi gli stucchi, rifatto l'impianto elettrico, inoltre il piccolo palcoscenico fu sostituito da una pedana per l'orchestra, in quanto il teatro veniva utilizzato per veglioni di carnevale e serate danzanti in genere.
Antonio Giordani, fa notare Deanna Lenzi, adottò per questo teatro la consolidata tipologia del 'teatro all'italiana' in un assetto aggiornato per la cavea a ferro di cavallo, tre ordini di palchi sovrapposti le cui parapettate sono a fascia, lisce e sporgenti, raccordate al palco da un arcoscenico architettonico. La decorazione è semplice ma elegante e raffinata, sulle balconate dei palchi, separati da finte colonnine con volute in legno dipinto, si susseguono fregi in stucco dorato, come pure sull'arcoscenico. La decorazione pittorica a velario del soffitto presenta festoni che raccordano dodici medaglioni. Il sipario, che tuttora si conserva, raffigura Esopo che parla ai pastori, è opera di un Malatesta di Modena, presumibilmente Adeodato, la cui fama era uscita dai confini modenesi, con l'apporto del fratello Massimiliano (si veda L. Scardino, Il sipario di Adeodato Malatesta, in: Il teatro e la musica a Pieve di Cento, 2000, p. 220-222). Rimasto inutilizzato per molti anni, il teatro è stato interessato ad un lungo e complesso intervento di restauro. Negli anni Ottanta l'Amministrazione pievese affronta nuovamente il problema della conservazione e del recupero funzionale di questo bene. Il teatro è quindi interessato ad una serie di interventi di complessivo consolidamento strutturale, rifacimenti alle coperture e parziale redistribuzione dei servizi e dei vani accessori, che più ampiamente coinvolgono l'intera residenza municipale. Nel 2000 viene avviato un organico progetto di recupero del teatro, diretto dagli architetti Guido Cavina e Roberto Terra di Bologna, il cui fine ha avuto il duplice obiettivo di restituire integralmente sala teatrale e ambienti ad essa collegati alle originarie funzioni conservandone sia l'assetto tipologico e spaziale, sia l'insieme degli apparati decorativi che vi si conservano. Inoltre si è provveduto all'adeguamento dei servizi e delle dotazioni impiantistiche, tecnologiche e di sicurezza, nell'indispensabile rispetto della normativa di legge, recuperando, se possibile, quanto esisteva ed era stato predisposto nel corso dei precedenti interventi, integrandolo e potenziandolo dove necessario. Come per esempio per i locali tecnici e di servizio agli spettacoli ricavati negli spazi del sottotetto attigui al palcoscenico, quest'ultimo integralmente ricostruito con struttura lignea è sormontato dalla graticciata. Nel consolidamento strutturale dei palchi si è provveduto alla rimozione delle sovrastrutture e dei puntelli provvisori e al ripristino degli elementi lignei trave-pilastro-assito, conservando inalterate le primitive quote di calpestio. Contribuiscono alla vivezza della memoria storica del teatro il mantenimento di quegli arredi tecnici che sono pervenuti integri, quali le lampade delle balconate e la plafoniera centrale, sono invece andati perduti gli apparati tessili e gli arredi novecenteschi che sono stati reintegrati.
L'intervento al bel sipario dei Malatesta è stato affidato all'opera della restauratrice pievese Licia Tasini mentre l'apparato decorativo è stato restaurato dallo Studio Emma Biavati di Bologna.
Il teatro completamente recuperato è stato nuovamente inaugurato il 6 dicembre 2003 con un concerto.
Nelle splendide sale del foyer restaurato è stata collocata la collezione "Luigi Mozzani".
(Lidia Bortolotti)